Passata la festa della mamma, in occasione della quale sono stati sciorinati dati, dolciumi e zuccherini, le mamme si trovano sempre nella medesima condizione e di dolce resta ben poco, che possa garantire una qualità della vita soddisfacente, altro che indice bes.

Per chi se lo fosse perso, Save the Children ha elaborato un report “Le equilibriste, la maternità in Italia”, un indice sulla condizione delle madri in collaborazione con ISTAT.

L'occupazione è una questione di genere, perché non solo il numero è differente a discapito delle donne, ma varia molto a seconda se ci sono figli e del loro numero. Ma questo già è assai risaputo.

“Decidono di diventare madri sempre più tardi (l’Italia è in vetta alla classifica europea per anzianità delle donne al primo parto con una media di 31 anni) e rinunciano sempre più spesso alla carriera professionale quando si tratta di dover scegliere tra lavoro e impegni familiari (il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta inattiva).”

D'altronde, i numeri delle dimissioni volontarie non accennano a diminuire e sono ancora una volta le donne che compongono la fetta maggioritaria. 

Non è solo una questione di accesso, ma di permanenza e a quali condizioni. L'ultimo Global gender gap parla da sé: siamo ottantaduesimi su 144 Paesi, abbiamo fatto tanti passi indietro soprattutto a causa della voce lavoro, siamo al 118° posto.

Disuguaglianze socio-economiche che penalizzano non solo le donne, ma l'intero sistema Paese.

I dati sulla divisione dei tempi del lavoro familiare, inclusi nel rapporto annuale Istat 2018 (pagina 219, n. b. fanno riferimento a un report del 2014!), rivelano che le donne “dedicano circa 3 ore in più degli uomini alle attività domestiche e di cura dei familiari, la differenza supera le 4 ore nelle coppie con figli, e arriva a 4 ore e 40 nelle coppie in cui lavora solo lei.” Hanno all'incirca 84 ore al mese (più di mille in un anno) in meno di un uomo per sé e per il lavoro.

Lavare e stirare, pulire la casa sono ancora appannaggio delle donne tra il 70-80%. I carichi familiari determinano poi le motivazioni per cui le donne sono circa i 3/4 dei part-time, che diventa quasi un obbligo, almeno che non si possa usufruire di aiuti esterni quali familiari o collaboratori domestici. Anche il tasso di partecipazione alla comunità con attività di volontariato risente dai compiti di cura familiari.

Gli uomini risultano ancora più propensi a condividere la cura dei figli, occuparsi della spesa e seguire la contabilità familiare.

 

IMMAGINE “carichi di lavoro familiare”

Tra bonus bebè, voucher babysitter, bonus “mamme domani”, bonus asili nido, formule simili varate dalle varie amministrazioni locali, la situazione non può chiaramente migliorare, perché sappiamo quanto temporanei e non in grado di sopperire alle esigenze di lungo periodo che un figlio comporta, investimenti onerosi dai dubbi risultati.

Il sistema dei supporti va razionalizzato e occorre che sia realmente equo e che vada ad aiutare chi veramente ha bisogno. Va bene il riassetto dei servizi educativi, va bene lo sforzo di portare a 4 giorni + uno facoltativo il congedo parentale retribuito di paternità nel 2018, ma siamo ben lontani dal prevedere una reale condivisione e un superamento di quella differente percezione del dipendente in base al genere.
Soprattutto, si tratta di dare stabilità e certezza a queste voci di spesa, per non creare diseguaglianze ulteriori.

Lo stesso quando si parla di misure di conciliazioni rientranti nel welfare aziendale, il rischio è che si creino differenze tra lavoratori, cosa che uno stato non può permettersi, perché dovrebbe intervenire per riequilibrare e garantire pari diritti. Per non parlare delle lavoratrici a partita Iva e precarie per vari motivi.

Certo il welfare aziendale sembra un toccasana, ma in un sistema come quello italiano, diciamo che stiamo parlando di una porzione di lavoratrici. Le altre?

Save the Children auspica che venga varato un “Piano Nazionale di sostegno alla genitorialità”, con misure a sostegno del percorso nascita e dei primi “mille giorni” di vita dei bambini, ma direi che forse l'ottica dovrebbe superare i primi tre anni, perché sia davvero incentivo per sostenere la scelta di diventare genitori.

 

IMMAGINE “sistema integrato educazione e piano di azione pluriennale”

 

Soprattutto, occorrerebbe partire dal riconoscimento del valore del lavoro invisibile delle donne, che volenti o nolenti va considerato nelle analisi e nelle valutazioni delle politiche messe in campo. Perché il computo del lavoro femminile è composto da più voci.

Preoccupante è il divario Nord-Sud evidenziato dall’Indice delle Madri di Save the Children che ha suddiviso l'analisi su 3 singole aree.

La prima, quella della cura, “mostra discreti miglioramenti per tutte le regioni almeno fino al 2012. Le Province autonome di Trento e Bolzano mantengono il loro primato seguite da Lombardia (3° posto), Piemonte (4°), Emilia-Romagna (5°) e Veneto (6°). La Basilicata è la peggiore performer per quanto riguarda l’area della cura preceduta da Puglia (20° posto), Abruzzo al 19° posto e la Sardegna al 18°. Da sottolineare i casi della Sicilia che nell’Indice della Cura occupa l’11° posto e non più le ultime posizioni e della Campania che occupa il 16° posto.”

L'area che esamina il lavoro femminile vede le Province autonome di Trento e Bolzano confermarsi “al primo e al secondo posto, seguite da Valle d’Aosta (3° posto), Lombardia (4°), Emilia-Romagna (5°) e Veneto che passa dall’8° posto nel 2012 al 6°. La Sicilia fanalino di coda è preceduta da Campania (20° posto), Calabria (19°), Puglia (18°) e Basilicata(17°).”

L’area che riguarda i servizi esamina come si comportano le singole regioni rispetto ai principali servizi educativi per l’infanzia. “Ancora una volta, la provincia di Trento si attesta al primo posto, seconda la Valle d’Aosta seguite da Friuli-Venezia Giulia (3° posto), Toscana (4°), Marche (5°). Per quanto riguarda i servizi, è il Lazio che si attesta all’ultimo posto preceduto da Sicilia (20°posto), Calabria (19°), Campania (18°) e Basilicata (17°).”

Un gap geografico allarmante, ma che anche nelle regioni più virtuose fatica a fotografare la realtà e soprattutto l'onerosità dei contributi delle famiglie per reggere tutto, problema aggravato dai danni apportati dagli evasori, che usufruiscono gratuitamente dei servizi e non contribuiscono equamente al sistema di welfare. Perché di questo enorme buco nessuno parla e nessuno ne tiene conto quando si parla di difficoltà legate alla genitorialità, alla conciliazione.

Posso serenamente raccontare cosa si avverte attorno quando si lascia un lavoro faticosamente conquistato perché non ci sono soluzioni per conciliare. E in questi anni ho dovuto sentire di tutto, colpevolizzazioni di ogni genere, commenti avvilenti e poca poca solidarietà.

In una società che sembra dare valore unicamente a ciò che è remunerativo, a ciò che è produzione e contributo tangibile all'economia, dove le persone sono ingranaggi “usa e getta”, che vanno bene finché servono, sembrano un esercizio di ipocrisia tutti i grandi magnifici discorsi che si fanno in occasione delle feste, quando per tutto l'anno “ci fanno la festa”.
Produciamo tutte una ricchezza che va al di là delle contabilità aziendali, produciamo cura, carburante per l'intera comunità.
Produciamo solidarietà, intrecciamo le forze, le idee, volontarie di quello che si potrebbe chiamare il settore invisibile del sociale.

Ha ragione Linda Laura Sabbadini quando qualche giorno fa, su La Stampa, parlava di mamme trottola, che anche in assenza di un sostegno e un aiuto adeguati, attraverso la cura familiare, ma direi di una famiglia a maglie larghe, rappresentano un bene comune per l'Italia.

Fa bene al cuore leggere “possono lavorare o no” e di queste parole devo ringraziarla, perché dopo tante pietre che ho dovuto sentirmi lanciare, avevo bisogno di sentire parole diverse, che sappiano abbracciare la realtà senza stereotipi e discrimini. Sapete quanto possa fare male la mancanza di solidarietà femminile.
Sabbadini continua: “C'è chi rinuncia al lavoro, chi rinuncia alla carriera e chi è costretta a non poter avere il numero di figli che desidera”.

Questa è la fotografia amara, ma reale. Giustamente non ce la si fa più, non siamo il paracadute di un sistema che non riesce a mutare consuetudini, sostanza, modalità di tutele e sostegno. Il welfare familiare, pilastro storico di un Paese che ha deciso da tempo di disinvestire sul welfare pubblico, crolla sotto il peso di un affanno della rete di aiuti dentro e fuori le famiglie. Non possiamo sperare che vada meglio, considerando la precarietà e l'età pensionabile che si allontana sempre più.
Risparmiateci i discorsi sulla denatalità e affini, sappiamo e vogliamo scegliere che profilo dare alla nostra vita. Siamo alquanto stufe di sollecitazioni che ci invitano a stringere i denti e a riporre speranze a vuoto.

Riprendendo quanto scrissi anni fa, come faccio a non far tutto: non credete a quelle supermamme che dicono di riuscire a tenere tutto sotto controllo e che nulla grossomodo è mutato con la maternità! Le cose cambiano eccome e arrivi a prendere decisioni drastiche che mai prima avresti contemplato. Chi non lo fa, chi dice che la sua vita lavorativa continua alla grande, chi sostiene che basta organizzarsi, di solito scarica sugli altri il peso e le responsabilità. Anche perché la giornata è fatta di 24 ore.

Ognuna compie le sue scelte, ma almeno non veniteci a raccontare le solite frottole che fanno sentire delle emerite incapaci coloro che non ce la fanno. Non si può far tutto, bene e senza qualche rinuncia, anche di un certo peso. Ma non colpevolizziamo nessuna.
Non esiste la supermamma, esiste la mamma “chissà se me la cavo”!
Cerchiamo di fare del nostro meglio, ma almeno cerchiamo di essere sincere tra di noi.

Così sul mito delle infinite e superbe capacità delle donne di essere multitasking. Pericoloso strumento di tortura per tutte le donne che non riescono ad essere abbastanza multitasking, che non sono perfette equilibriste tra focolare e lavoro.

Fermiamoci qui, non dobbiamo per forza saper fare tutto e bene. Questa è solo una favola e una immagine surreale di un fantoccio di donna dai superpoteri, abile a risolvere qualsiasi inconveniente, un simulacro consolatorio e rassicurante, ma che fa male alle stesse donne. Una specie di colla universale taumaturgica.

Donne che crocifiggono le donne e le istruiscono su come essere donne, mamme, mogli perfette. Ma anche basta!

Il problema della conciliazione implica anche una convinta responsabilizzazione per gli uomini, perché la condivisione non è un nuovo balocco trendy di cui fregiarsi in sede di discussione politica, di associazione femminile o sulle testate di rosa vestite. La condivisione implica cambiamenti e sacrifici reali e congiunti, appunto condivisi, in ogni aspetto.

E infine, ci auguriamo che questo Paese e chi è competente a farlo si occupino di intervenire per migliorare la qualità della vita delle donne tutte, madri o meno, il punto centrale devono essere le donne nelle loro mille sfaccettature e declinazioni, il resto verrà di conseguenza se si va verso un pieno riconoscimento e sostegno della componente femminile, verso un sistema che sappia lottare contro le discriminazioni e tutte le forme di oppressione patriarcale.

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.