Se una donna riesce a lavorare, ne beneficia l’intero sistema paese. Questo è più che ovvio, eppure si fatica a ragionare su una redistribuzione più equa dei compiti tra donne e uomini.

Il rapporto del 2015 “Progress of the World’s Women: Transforming Economies, Realizing Rights”, realizzato da UN Women parla chiaro: c'è ancora uno sproporzionato divario nelle responsabilità di cura e di lavori domestici tra uomini e donne, con una ricaduta negativa sulla loro partecipazione al mondo del lavoro.

In Unione Europea, nel 2013, il 25% delle donne, contro il 3% degli uomini, citano l'attività di cura e le altre responsabilità familiari come fattori che non permettono di lavorare. 

Questo spiega anche i differenti livelli di occupazione tra donne con o senza figli.

Certamente i servizi per l'infanzia incidono fortemente sui livelli occupazionali e fanno da incentivo per la permanenza nel mondo del lavoro dopo la nascita di un figlio.

Il numero di figli e il mantenimento del posto di lavoro sono direttamente proporzionali alla qualità dei servizi di supporto per i genitori e di supporto all'infanzia,  ai congedi parentali retribuiti e alle opzioni che consentono di avere una certa flessibilità sul lavoro.

Average maternal employment rates by number of children in European Union countries, by family policy regime, 2013

Dal grafico  emerge chiaramente che nei Paesi in cui i servizi sono meno sviluppati e non sono di buona qualità (Europa del Sud rispetto ai Paesi del Nord Europa) la percentuale di donne che lavorano è più bassa e tende a diminuire con l'aumentare del numero di figli.

L'accesso e la possibilità di usufruire dei servizi come i nidi non sempre sono alla portata di tutti, soprattutto se le spese da sostenere superano gli introiti lavorativi delle mamme.

Per molte l'importante è mantenere il posto di lavoro, ma la realtà è ben diversa e non sempre il sacrificio viene ricompensato.

Senza parlare del fatto che la soluzione “nido” non è la panacea di tutti i problemi e non risolve tutto.

Bisognerebbe considerare anche l'impatto dei figli in termini di carriera e di qualità della vita sul posto di lavoro al rientro.

Chiaramente le opportunità di conciliazione saranno più agevoli quanto maggiore sarà la retribuzione e le risorse (economiche e familiari) di cui potrà usufruire la madre, o anche il padre. Il contesto è fondamentale in questi casi per un “rientro” e una partecipazione al lavoro più leggere e meno problematiche.

Dovremmo anche aggiungere un ulteriore tassello che pesa sulle donne, che spesso devono occuparsi dei genitori anziani o malati e con l'incremento dell'aspettativa di vita, questi problemi aumenteranno esponenzialmente.

Di questi aspetti i Governi dovrebbero maggiormente interessarsi, perché ancora una volta li si fa ricadere sulle spalle delle donne. Il peso andrebbe redistribuito anche sulla componente maschile, se vogliamo sostenere il lavoro delle donne.Mi rendo conto che si entra in un discorso molto particolare e ogni esperienza è un caso a sé, ma quando si ragiona su questi temi occorre tenere insieme i vari aspetti, senza semplificare.
Purtroppo le norme sono universali e non riescono a coprire tutte le mille fattispecie. Ma qualche misura va varata.

L'Italia ha un orientamento oscillante, tra un tentativo di adeguarsi agli indirizzi europei o di organismi come l'ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) e una normativa che stenta ad essere armonica e pienamente innovativa. 
Prendiamo per esempio il decreto (parte del Jobs Act) in materia di conciliazione tra famiglia e lavoro, che dovrebbe andare in porto in questi giorni.
La normativa in materia di maternità era ferma al T.U. del 26 marzo 2001, n. 151.

Preoccupa che il baricentro della questione sia stato nuovamente spostato sulla madre, sulla maternità. Sappiamo quanto siano importanti le parole per un cambiamento culturale e per un superamento dello stereotipo mamma quale unica figura che si occupa della cura dei figli.

La Riforma Fornero aveva tentato di ribaltare questa consuetudine, introducendo il congedo di paternità obbligatorio e retribuito, misura sperimentale (triennale) che si dovrebbe concludere quest'anno, salvo diverse previsioni. 
Oggi invece è come se si camminasse come un gambero.

Nell’art. 1, del decreto in via di approvazione, si afferma l'obiettivo di: “introdurre misure sperimentali volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e a favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro della generalità dei lavoratori”.

Se io voglio favorire l'occupazione femminile, devo includere nella gestione dei pesi e delle responsabilità anche gli uomini, altrimenti avrò conservato uno squilibrio. Conosciamo bene la principale motivazione che ha sinora spinto verso il congedo più le madri che i padri: le retribuzioni più basse.

Il congedo parentale retribuito come abbiamo visto è importante, ma secondo alcuni studi di settore, quando è troppo lungo tende ad avere effetti negativi sulle lavoratrici che, se restano lontane dal lavoro per troppo tempo, rischiano di perdere competenze e hanno bisogno di tempo al loro rientro per rimettersi in carreggiata (cosa non sempre concessa dal datore di lavoro).

Un periodo di astensione dal lavoro spesso comporta rischi di segregazione orizzontale e verticale e di essere discriminata.

Per questo sarebbe opportuno privilegiare forme di condivisione con il partner dei tempi di congedo parentale.

A mio avviso un periodo di congedo è necessario, perché preferirei che le mamme potessero scegliere liberamente se e come usare il congedo facoltativo. Vi ricordate il voucher asili nido-baby sitter?  Non sono misure che vanno bene per tutti e dobbiamo tutelare quelle situazioni in cui questo tipo di scelta non è praticabile.

Nel testo viene esteso l'arco temporale entro il quale è possibile usufruire del congedo parentale: si passa dagli 8 anni ai 12 anni del bambino. La mancanza di incentivi che incoraggino un utilizzo equo tra i genitori, riduce un po’ gli effetti sull'occupazione femminile.

Si introduce il congedo parentale ad ore (non più solo per giorni), che dovrebbe consentire di costruirsi un part-time, ma questo è anche previsto come scelta da un’altra norma appena introdotta in un altro DL attuativo del Jobs Act (riordino delle forme contrattuali) in cui si prevede che il lavoratore può chiedere il part-time al posto del congedo parentale per la durata del congedo parentale stesso.

I congedi di paternità vengono estesi a tutte le categorie di lavoratori, con la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a utilizzarlo per motivi naturali o contingenti.

Se si prevedessero dei periodi di congedo “dedicati” esclusivamente al padre e magari non coincidenti con quelli materni, si avrebbero delle buone ricadute anche per le madri. Per incentivarli si potrebbero riconoscere bonus in termini economici e di durata ai padri (come in Austria) e perché no, dare la possibilità di svolgere un part-time (in Olanda è così).

Si parla di telelavoro all'art 22. Ecco, se ne parla da decenni in questi termini, oggi si dovrebbe parlare di formule di lavoro “agile”, di flessibilità, che consentano alla lavoratrice di gestire meglio i tempi di lavoro, di cura e di vita in generale. Questo dovrebbe valere anche per i padri.

L'estensione senza limiti di orario di alcuni lavori e la mancata organizzazione aziendale per consentire di lavorare “in remoto”, hanno gravissime ripercussioni sulle donne, soprattutto in un contesto come quello italiano che ancora fatica a bilanciare i pesi tra uomini e donne in tema di cura e gestione domestica.

Per quanto riguarda i contenuti della parte dedicata al telelavoro si prevedono dei benefici per i datori di lavoro privati che lo adotteranno per venire incontro alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti: i telelavoratori si escludono dal computo “dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti”.

Viene introdotto il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati e si prevede la possibilità per queste lavoratrici dipendenti (in ambito privato) di astenersi dal lavoro per un massimo di tre mesi, garantendo l'intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti. Per le donne vittime di violenza è altresì previsto il diritto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale dietro richiesta della lavoratrice.

Forse quest'ultima possibilità andrebbe estesa anche alla lavoratrice/lavoratore in generale, che in alcuni momenti della propria vita potrebbe averne bisogno, si potrebbero prevedere delle fattispecie. Se resta a discrezione del datore di lavoro tale possibilità non è garantita.

Concludo riportando un dettaglio non da poco: la copertura (ho letto che dovrebbe consistere in 104 milioni) di tutto questo sistema di conciliazione, ancora da approvare, vale solo per il 2015. Per il 2016 chissà.

Ecco, è sempre un problema di prospettive, di investimenti certi e di normative che cambiando continuamente non consentono di poter contare su provvedimenti organici e diritti certi. Il datore di lavoro deve organizzarsi cercando di comprendere quale sia la normativa vigente e in questo stato di cose non è veramente agevole.

Il rischio di queste incertezze e di obiettivi vaghi, poco incisivi, è che ci siano conseguenze negative proprio sulla parte debole della contrattazione, le lavoratrici. Quindi, innanzitutto chiarezza, negli obiettivi e nei contenuti. Manca un'organizzazione a lungo termine e questo non è certamente un bel segnale, se l'obiettivo è cambiare veramente.

C'è chi si lamenta del soffitto di cristallo. C'è chi nemmeno si alza dal livello “terra”, c’è chi viene messa alla porta solo perché diventa mamma. 
Chiediamo piccoli segnali e un minimo di programmazione.

Articolo di Simona Sforza
Twitter @sforzasimona

 

 

 

Immagine dal sito http://cpiub.com/

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.