Cercare le proprie origini può significare mettere mano a foto, oggetti personali, documenti ma può anche significare mettere mano a ricordi, sentimenti, riflessioni.

I due profili solo in apparenza sono distinti, perché mettere ordine tra i propri documenti spesso induce a esplorarne il contenuto emozionale collegandovi stati d’animo, volti, luoghi facendo fare alla mente capriole nel tempo e tra i ricordi.

Quando i documenti e le emozioni appartengono a un minore adottato, viaggiare all’interno della sua storia diventa coinvolgente anche per il genitore che di quel viaggio non può che essere il suo compagno rispettoso e disponibile.

Il tema della ricerca delle origini è stato l’oggetto del mio ultimo libro Lo zainetto invisibile - La ricerca delle origini nelle adozioni internazionali tra diritto, web e dinamiche relazionali” (Arduino Sacco editore www.arduinosaccoeditore.euche ho presentato giorni fa a Roma e che ho trattato da diversi punti di vista: quello giuridico, del web e delle dinamiche relazionali.

Lo zainetto invisibile, di Silvana Guerra

Per Mammeonline vorrei trattare alcuni degli aspetti giuridici che regolano l’accesso alle informazioni sulle origini.

Nel campo delle adozioni internazionali i principi che regolano l’accesso alle informazioni sulle origini si trovano nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, approvata a New York dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 (ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991) e nella Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993, che all’art. 30 impone agli Stati aderenti di assicurare l’accesso del minore o del suo rappresentante alle informazioni relative alle sue origini, fra le quali, in particolare, quelle relative all’identità dei propri genitori di nascita.

L’Italia ha ratificato la Convenzione de L’Aja con Legge 31 dicembre 1998, n. 476, una legge che, in accoglimento dei principi della citata Convenzione de L’Aja, ha ridisegnato l’istituto delle adozioni internazionali contenuto nella Legge n. 184/83, disciplinando all’art. 37 l’accesso alle informazioni sulle origini del minore adottato internazionalmente.

Con riferimento specifico alle informazioni identificative, ossia a quelle informazioni che permettono di risalire all’identità dei genitori biologici e allo stato adottivo del minore, l’articolo 37 al suo terzo comma opera un rinvio alla disciplina contenuta nell’articolo 28 che regola l’accesso alle origini nelle adozioni nazionali: di conseguenza ai due tipi di adozione si applicano gli stessi principi.

Ma che cosa prevede l’articolo 28 Legge n. 184/83?

Il suo primo comma impone ai genitori adottivi l’obbligo di informare il bambino del suo stato adottivo; il secondo e terzo comma si occupano della tutela della privacy verso coloro che, per il tipo di attività svolta, possono venire a contatto con la documentazione dell’adottato e, potenzialmente, ledere il suo diritto alla riservatezza. In sintesi i due commi fanno divieto agli ufficiali dello stato civile, dell’anagrafe e di qualsiasi ente pubblico o privato, di fornire notizie o certificazioni dalle quali possano risultare la qualità di adottato del minore e l’identità dei suoi genitori biologici senza specifica autorizzazione del giudice minorile competente.

Il quarto comma è dedicato alla possibilità riconosciuta ai genitori adottivi, quali rappresentanti legali del figlio, di chiedere l’autorizzazione al T.M. per accedere alle informazioni identificative dei genitori di nascita del bambino ma solo se danno la prova dell’esistenza di gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute.

Il quinto e sesto comma disciplinano l’accesso alle informazioni sull’identità dei genitori biologici e sulle proprie origini da parte del maggiorenne.

Il settimo comma nella formulazione antecedente la sentenza della Corte Costituzionale n. 278/2013 non consentiva «l’accesso alle informazioni nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata».

            A seguito della citata sentenza della Corte costituzionale, il settimo comma è stato parzialmente abrogato nella parte in cui non prevede la possibilità per il T.M. di interpellare la madre su richiesta del figlio ai fini di una eventuale revoca della sua decisione di mantenere l’anonimato (per dovere di informazione si fa presente che attualmente il settimo comma è oggetto di iniziativa parlamentare tesa ad ampliare i casi di accesso alle informazioni identificative).

Il contenuto dell’articolo 28, seppure sommariamente accennato, mi induce a una breve riflessione sul suo primo comma e sulle ricadute delle sue prescrizioni in materia di tutela, anche sul web, del diritto alla riservatezza.

Recita il primo comma:

«Il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni.»

Come emerge dalla lettera della norma in commento, essa impone ai genitori adottivi il solo dovere di comunicare al proprio bambino (maschietto o femminuccia) il suo stato adottivo, lasciandoli poi liberi nella scelta del modo e del momento.

Il riconoscimento ai genitori adottivi della piena libertà sul come e sul quando informare il bambino della sua provenienza adottiva ha come presupposto che i genitori adottivi, come scrivo nel mio libro: «meglio di chiunque altro, conoscano (o dovrebbero conoscere) la maturità, la psicologia e la sensibilità del loro bambino e, quindi, meglio di chiunque altro, siano in grado di individuare il momento e il modo giusti per affrontare l’argomento».

Ora, non vi è dubbio che l’età in cui è avvenuta l’adozione del bambino e i suoi tratti somatici influenzino i tempi e le modalità di tale comunicazione, perché può ben capitare che ai giardinetti sotto casa o in piscina un’altra mamma accenni al diverso colore della pelle della bambina o agli occhi a mandorla del bambino, chiedendo poi se si tratti di un bambino o di una bambina adottata. È quindi per tutelare la serenità del bambino che gli psicologi raccomandano di informarlo al più presto della sua provenienza adottiva e il Legislatore ha previsto norme di tutela ad hoc. Giuridicamente i genitori sono i custodi della privacy dei loro figli e ne sono responsabili, il che in pratica si traduce nel loro diritto di escludere chi ritengono dalle informazioni sulla storia del loro bambino e nella tutela, se del caso anche giudiziaria, del suo diritto alla riservatezza.

Un’analoga tutela è inattuabile sul web sia perché per il nostro Codice sulla privacy pubblicare una notizia sul web equivale a manifestare il consenso all’uso lecito della medesima e sia perché, registrandosi sui social network come Facebook, Twitter o WhatsApp, si accetta la legislazione che li regola, che è quella americana. Una legislazione diversa dalla nostra in tema di privacy, tanto che una eventuale azione a difesa della riservatezza, oltre che costosa, è quasi impossibile da ottenere.

Ai social media e alle azioni a difesa della privacy ho dedicato diversi capitoli del mio «Lo zainetto invisibile»: in essi mi sono occupata del rapporto tra genitori-  bambini - ragazzi e la rete, che si sa, oltre che fonte di socializzazione e di conoscenza, può anche essere fonte di incontri destabilizzanti, come quelli con coetanei cyberbulli o con invadenti genitori di nascita. Come comportarsi? La natura del web, caratterizzata dall’immediatezza dei contatti (le richieste di contatti non bussano per entrare nel nostro account), penso richieda ai genitori adottivi competenze anche informatiche per poter accompagnare i loro figli nell’uso della rete e dei social network. Essere dei punti anche cibernetici di rifermento per i propri figli permette di non lasciarli soli davanti al pc o al tablet sia quando hanno sette/ otto anni e sia quando sono più grandicelli e navigano in modo autonomo in rete.

 Essere dei referenti competenti per i propri figli significa non solo essere in grado di attuare una comunicazione anche digitale efficace, ma altresì essere per loro dei porti sicuri ai quali approdare quando i contatti sulla la rete li mettono in difficoltà.

Penso che l’armonia adottiva al tempo di internet passi anche dal web.

Articolo di Silvana Guerra

Silvana Guerra, autrice del libro "Lo zainetto invisibile"


Silvana Guerra, laureata in giurisprudenza, nel periodo 2002- 2012 ha svolto la propria attività professionale presso la Segreteria tecnica della Commissione per le Adozioni Internazionali (Presidenza del Consiglio dei Ministri), dove si è occupata dell’iter pre-adottivo e del post adozione nelle adozioni internazionali. 

Nel 2012 con Arduino Sacco Editore ha pubblicato sul tema delle adozioni internazionali il libro: Paolo e Paulinho (un viaggio nella procedura delle adozioni internazionali vista dalla prospettiva di un bambino, figlio biologico, che deve affrontare l'arrivo di un fratellino adottato internazionalmente).

Il libro Lo zainetto invisibile si può acquistare a Roma presso la cartoleria “Le Muse” di piazza Istria

Ritratto di Redazione

Posted by Redazione